martedì 14 aprile 2020


IL VIRUS E IL COMUNISMO

di Sandokan


Confesso che la filosofia non è il mio forte, e non so quindi dirvi molto sul pensiero di Slavoj Žižek. E’ un fatto che da diversi anni questo sloveno va molto di moda in certa sinistra in cerca d’autore, e che il tipo è dunque molto apprezzato da certa intellighenzia di regime. La qual cosa, detto tra noi non me lo ha reso simpatico.

L’ultima sua stupefacente uscita, pubblicata non a caso da La Repubblica del 6 aprile scorso, mi dice che non mi sbagliavo. “Vedo un nuovo comunismo germogliare dal virus”.
Secondo il nostro, citiamo:
«Un nuovo senso di comunità: ecco cosa sta emergendo da questa crisi. Una sorta di nuovo pensiero comunista, lontano dal comunismo storico. La banale scoperta che per battere il virus servono coordinamento e cooperazione globale è a suo modo rivoluzionaria. Stiamo riscoprendo quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri. Persone e nazioni».

Confesso che sono saltato sulla sedia. Come tanti penso esattamente il contrario. Penso che col pretesto del Covid-19, grazie ad una campagna di paura senza precedenti, il sistema sta sperimentando quanto grande e pervasiva sia la sua capacità di dominio sui popoli. Che chi comanda sta facendo le prove generali per passare ad un regime autoritario. Che è stato instaurato uno stato d’eccezione con pieni poteri al governo che non si era realizzato nemmeno ai tempi della lotta contro il terrorismo. Che nella ragnatela della paura e del contagio crescono tra i cittadini l’individualismo, il sospetto verso l’altro che può essere untore, la delazione.

Ma allora cosa passa per la testa a questo filosofo quando sostiene che col virus avanza il comunismo? Ce lo spiega in articolo sulla rivista INTERNAZIONALE. Il titolo è perentorio: UN NUOVO COMUNISMO POTRÀ SALVARCI.
Leggiamo:
«Si potrebbe aggiungere che questo approccio ad ampio raggio dovrebbe estendersi ben oltre il meccanismo dei singoli governi: dovrebbe andare dalla mobilitazione locale di persone al di fuori del controllo statale a un coordinamento e a una collaborazione internazionali forti ed efficienti. Se migliaia di persone saranno ricoverate in ospedale per problemi respiratori servirà un numero molto superiore di apparecchi per la ventilazione polmonare, e per averle lo stato dovrebbe intervenire direttamente, come succede in condizioni di guerra quando servono migliaia di fucili, e dovrebbe poter contare sulla collaborazione di altri stati. Come in una campagna militare, le informazioni dovrebbero essere condivise e i piani perfettamente coordinati. Questo è il “comunismo” che secondo me serve oggi».

E conclude:

«L’epidemia di Covid-19 non dimostra solo i limiti della globalizzazione dei mercati, ma anche quelli ancora più letali del populismo nazionalista che insiste sulla piena sovranità dello stato: è la fine di “Prima l’America (o qualunque altro paese)!”, perché gli Stati Uniti si possono salvare solo con il coordinamento e la collaborazione globale. Non sono un utopista, non invoco una solidarietà idealizzata tra esseri umani. Ma la crisi attuale dimostra chiaramente che la solidarietà e la collaborazione globale sono nell’interesse di tutti e di ciascuno di noi, e sono l’unica cosa razionale ed egoista da fare».

Avete capito? Mentre è sotto gli occhi di tutti che la globalizzazione è fallita, che proprio questa “epidemia” dimostra quanto danni abbia fatto la demolizione degli stati e delle loro prerogative sovrane, questo filosofo non solo ci dice “Avanti tutta con la globalizzazione”, ci vuole far credere che il comunismo avanzerebbe con la globalizzazione medesima e la relativa soppressione degli stati nazionali. Il nostro lo chiama “nuovo comunismo”.

Non so chi di voi abbia letto 1984 di George Orwell. Vi si parla di un regime di tirannia in cui il partito al potere e il Grande Fratello impongono la “neolingua” per compiere quella che potremmo chiamare lobotomizzazione delle masse. Ecco, chiamare “nuovo comunismo” la “neoglobalizzazione”, a me pare, tra tutti i tentativi di manipolazione delle coscienze, quello che più di tutti invera la premonizione di Orwell.

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