lunedì 11 maggio 2020



DA DOVE VENGONO I CORONA VIRUS?



Di Alberto Negri





Da dove vengono i coronavirus, come si replicano le pandemie e come si combattono? La risposta degli esperti è: con l’ecologia.


Pangolini, pipistrelli, serpenti (ipotesi quest’ultima ormai smentita): subito c’è stata la corsa a individuare l’animale selvatico all’origine di questo coronavirus denominato Covid-19. Se è vero che questi virus provengono dagli animali, la loro espansione deriva soprattutto dalla distruzione del loro habitat che ha permesso agli agenti patogeni di arrivare fino al corpo umano.
La nuova pandemia non è per niente casuale. Negli Stati Uniti sono stati identificati 900 nuovi virus di questo genere compresi ceppi di coronavirus prima sconosciuti paragonabili alla Sars.
Un articolo di Sonia Shah su Le Monde Diplomatique ci avverte che dal 1940 a oggi centinaia di microbi patogeni sono comparsi e riapparsi in aeree in cui, in diversi casi, non si erano mai visti prima. Per esempio è stato così per il virus dell’immunodeficienza umana HIV, dell’Ebola, nell’Africa occidentale, della Zika _infezione da zanzare _ diffusa nel continente americano. La maggior parte di questi virus, il 60 per cento, è di origine animale. Alcuni provengono da animali domestici o di allevamento, due terzi da animali selvatici. Ma è un errore credere che questi animali siano particolarmente infestati da agenti patogeni letali: in realtà i microbi, nella maggior parte dei casi, vivono al loro interno senza fare danni.
Il problema è un altro: con il dilagare della deforestazione, dell’agricoltura intensiva, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, abbiamo dato a questi virus la possibilità di arrivare al corpo umano, di mutare a adattarsi. La vera distanza mancante non è quella tra gli uomini ma tra noi e gli animali cui non abbiamo lasciato più spazio per vivere, se non a nostro contatto.
E’ il caso dell’Ebola. L’origine del virus è in alcune specie di pipistrelli nelle zone dell’Africa centrale e occidentale che anno subito recenti e devastanti processi di deforestazione.
Il rischio di epidemie, ci informa Sonia Shah, giornalista scientifica americana autrice di diversi libri in materia di virus e pandemie, aumenta non solo con la perdita degli habitat naturali ma anche per il modo con cui vengono rimpiazzati. Per soddisfare la domanda mondiale di carne sono state disboscate superfici equivalenti a quella dell’Africa per nutrire e allevare animali destinati al macello. E’ accaduto che in questo modo si sono incrociate fianco a fianco sul territorio delle specie diverse come prima mai era avvenuto in natura.
Questo tipo di sviluppo ha generato la Sars, la sindrome respiratoria acuta e grave che potrebbe essere anche all’origine del coronavirus che adesso ci sta relegando ai domiciliari. I virus dell’influenza aviaria di cui sono portatori gli uccelli acquatici prima hanno fatto stragi nella fattorie piene di polli d’allevamento e poi sono passati all’uomo. Così è nata la Sars: la prossima secondo alcune previsioni potrebbe venire dall’Europa dell’Est.
La buona notizia è che possiamo monitorare gli ambienti in cui i microbi animali hanno maggiori probabilità di mutare in agenti patogeni attaccando l’uomo: in poche parole si possono eliminare i virus che mostrano segni di adattamento al nostro corpo prima che causino delle epidemie.
E’ quello che è stato fatto in Usa nell’ultimo decennio dai ricercatori del programma Predict, finanziato da Usaid, l’agenzia americana per la cooperazione internazionale. Grazie a Predict sono stati identificati 900 nuovi virus legati all’espansione dell’azione dell’uomo sul pianeta, compresi diversi ceppi di coronavirus che recano forti scompensi respiratori e possano diventare letali.
La cattiva notizia è questa: l’amministrazione Trump nell’ottobre 2019 ha deciso di mettere fine al programma di ricerca Predict: forse ritenuto troppo favorevole alle istanze ambientali ed ecologiste da un presidente che si presenta come il portabandiera dell’espansione delle attività industriali.
Questa vicenda di dice due cose secondo l’autrice dell’articolo: 1) I focolai dei virus sono inevitabili ma le epidemie, individuate per tempo, si possono fermare o frenare 2) Potremo evitare le future pandemie se saremo capaci di cambiare le nostre abitudini e le nostre politiche almeno quanto siamo stati determinati a sconvolgere la natura e la vita animale.
Conservare la natura significa in sintesi lottare anche per l’autoconservazione della vita umana. Altrimenti ci attende un’altra strada assai poco attraente: le epidemie di ripeteranno, le pandemie pure, a sempre più breve distanza. Vogliamo questo: libertà “vigilata” e domiciliari a vita?

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