giovedì 16 aprile 2020


CON MARX OLTRE MARX 

 di Mauro Pasquinelli


[ 20 dicembre 2018 ]

«Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l'acume della vista o l'altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.»

Premessa

Il marxismo ha la pretesa di essere una teoria dell’emancipazione dell’uomo fondata su di una concezione scientifica della storia e dei rapporti sociali. Nel Manifesto del Partito Comunista sono elencati tutti i tipi di socialismo (tutti tranne il suo) da rigettare in quanto basati su ricette utopistiche, su deliri onirici o peggio ancora su nostalgie passatiste di rapporti sociali pre-capitalistici.


Il valore e il sistema etico del comunismo si erige per Marx ed Engels sulle salde fondamenta dei fatti e i fatti sono le leggi della storia e le tendenze di sviluppo del capitalismo, la dinamica delle strutture, analizzati con le categorie della dialettica materialistica e sottoposte al miscroscopio della più “avanzata” scienza sociale.

Teoria e pratica. Pratica e teoria. Se è vero che non può esistere alcun movimento rivoluzionario senza teoria rivoluzionaria è anche vero che non può esistere teoria rivoluzionaria senza il suo saldo ancoraggio ai fatti storici, alle obiettive dinamiche della storia umana, alla prassi concreta degli individui, delle classi, dei popoli e delle nazioni.

Marx non si considerava marxista. Perché? Perché non voleva passare per il profeta di una nuova religione (o ideologia) che portasse il suo nome. Una sfilza di dogmi validi per tutte le stagioni al di là, al di sopra e al di sotto degli eventi e delle dure repliche della storia. Su questo aveva ragione Galvano della Volpe: Marx, nel clima generale del positivismo scientista ottocentesco egli aveva la pretesa di essere un Galileo, un Newton delle scienze sociali e di dare un fondamento scientifico a valori e ideali di salvezza. Senza questo fondamento gli ideali stessi perderebbero valore e sarebbe persino inutile professarli. La teleologia comunista deve avere dei presupposti e i presupposti sono i fatti, i rapporti di forza reali, le leggi evolutive dei modi di produzione, le dinamiche strutturali e sistemiche. I comunisti non sono vagheggiatori di utopie, cuochi che discettano sulle ricette dell’osteria dell’avvenire ma ostetrici che alleggeriscono le doglie del parto. La storia sarebbe infatti (Marx docet) il movimento reale che partorisce il comunismo. Tutta la battaglia politica di Marx nella Lega dei Comunisti, e nella Prima Internazionale, la critica dirompente a Willich, Proudhon eBakunin conferma questa ipotesi interpretativa.

Un primo bilancio critico

Siamo a 135 anni dalla morte di Marx e un bilancio, una verifica storica dei presupposti su cui il genio di Treviri aveva la pretesa di fondare la necessità del comunismo, non è più rinviabile.

Elenco per brevità di sintesi alcuni punti critici, un primo bilancio storico dei presupposti fondativi dell’ipotesi comunista, su cui urge un necessario approfondimento collettivo.

1) Il ricco e opulento occidente che avrebbe dovuto spianare la strada del comunismo al mondo intero è stato il baluardo assoluto, le colonne di Ercole dell’anticomunismo, dell’ancien regime capitalistico. Il luogo geometrico in cui più alto si è espresso lo sviluppo delle forze produttive le quali, lungi dal mettere in crisi i rapporti di produzione come pensava Marx, li ha rafforzati estesi e sostenuti. I rapporti hanno improntato di sé, forse anche deviato l’evoluzione delle forze piuttosto che le forze fatto cadere i rapporti. I rapporti hanno sconfitto le forze!

2) Senza alcun dubbio il punto più traumatico di rottura tra forze produttive e rapporti di produzione, che ha fatto vacillare il capitalismo si è verificato nel ‘900 nelle periferie del sistema. Tuttavia il centro non solo ha retto botta ma si è rafforzato a spese delle periferie incanalando i loro promettenti tentativi rivoluzionari e anti-sistemici verso traguardi capitalistici e post-capitalistici. Un esempio su tutti la Cina e la Russia. Milioni di morti per ritrovarci da punto a capo! La montagna di sacrifici umani immani ha partorito di nuovo il topolino della merce o della mercificazione! Ben poca cosa. Lenin si interroga e si rivolta nel Mausoleo!

3) Per una bislacca “eterogenesi dei fini” o per una faziosa “astuzia della ragione”, le rivoluzioni anti-sistemiche nelle periferie, condotte nell’apparente forma proletaria, hanno subito assunto la sostanza borghese. In altre parole hanno surrogato il ruolo di borghesie deboli o assenti per instaurare alla fine rapporti di produzione capitalistici, a seconda dei casi dipendenti (come in Vietnam e Cambogia) o centrali (come in Cina). Milioni di diseredati hanno lavorato per il Re di Prussia sotto la sferza di dittature autoritarie che hanno sfigurato l’ideale del socialismo!

4) Il proletariato fordista, pref-fordista e post-fordista, l’operaio massa prima e l’operaio sociale poi, hanno deluso, tradito e sconfessato le speranze di Marx. A queste figure egli, con fiducia spropositata, aveva riservato la missione storica, il compito titanico di superare il capitalismo e realizzare la società senza classi e senza sfruttamento, l’autogoverno dei produttori. “L’emancipazione del proletariato è opera del proletariato stesso” proclamava Marx dalle tribune della Prima Internazionale. La storia si è incaricata di smentire le sue illusioni. Il proletariato storico (e non quello immaginario), come lo schiavo e il servo della gleba, ha palesato i suoi limiti immanenti. Non è stato una classe intermodale. Evidente si è rivelata la sua congenita incapacità di assurgere a classe dirigente. Parafrasando il primo Marx della Critica alla filosofia del diritto di Hegel, non è stato in grado di assumersi il compito di classe universale, di campione dell’intera società nel percorso della sua auto-emancipazione!

5) Il rafforzamento sistemico dell’imperialismo in Occidente, la sconfitte subite dalla Comune di Parigi, dalla rivoluzione tedesca e dal proletariato iberico nella guerra civile Spagnola da una parte, e la degenerazione del socialismo reale dall’altra, sono due facce della stessa medaglia: l’incapacità ontologica del proletariato internazionale, così come storicamente si è dato, a farsi classe dirigente, a prendere in mano i destini dell’umanità secondo le prescrizioni e le ipotesi ottimistiche di Marx ed Engels.

6) La sopravvalutazione delle potenzialità del proletariato corre di pari passo alla sottovalutazione della forza e della potenza della borghesia capitalistica che veniva considerata a torto una classe passeggera, un incidente di percorso della storia. Questa invece ha dimostrato di avere sette e più vite come i famosi gatti. Sicuramente in possesso di una potenza dirigente globale e di una forza corruttrice universale da Marx totalmente sottovalutate. Superiore alle classi sfruttatrici precapitaliste ma ciò che più conta è stata capace fino ad oggi di sussumere, di schiacciare, di isolare, talvolta di deviare su binari morti qualsiasi velleità emancipativa delle classi subalterne. Nella borghesia capitalistica c’è del genio diabolico e una capacità proteiforme di adattarsi e di plasmare la storia che non ha paragoni.

7) La dinamica storica degli ultimi tre secoli dimostra che l’imput che ha dato avvio alle rivoluzioni borghesi e proletarie era l’esistenza di un sovrano assoluto. Non ci sono state rivoluzioni in paesi democratici. Cio’ deve far riflettere chi ancora, leninianamente, si illude di fare la rivoluzione alla vecchia maniera giacobina in paesi in cui le classi dominanti hanno la possibilita’ e le risorse per comporre e smorzare il conflitto di classe distribuendo prebende, manovrando sulla leva fiscale e monetaria per spuntare le armi dei rivoltosi. Abbiamo assistito a rivolte (come quella del 68 o quella in atto dei Gilet gialli) ma non a rivoluzioni. L’accumulo di impressionanti ricchezze in mano alle classi dominanti fa pensare purtroppo che l’Occidente manterra’ ancora a lungo la parvenza di democrazia, il truffaldino gioco delle alternanze, riuscendo a frenare le rivolte prima che dilaghino in rivoluzioni. Cio’ che tiene in vita la “democrazia” e’ la lungimiranza brigantesca della borghesia e la sua enorme riserva di ricchezze succhiata ai poveri del mondo, da destinare furbescamente alla corruzione dei popoli e delle elite’. Ma quanto potra’ durare? La natura e non il proletariato sta presentando il conto! Affonderemo tutti in una graduale estinzione di massa, la sesta per l’appunto?

8) Non c’e’ movimento rivoluzionario nella storia che non abbia avuto impulso da una elite o da una minoranza organizzata e disciplinata. Ma non c’e’ rivoluzione vittoriosa che non abbia trasformato questa elite’ nel nuovo sovrano assoluto. Siamo alla paretiana “circolazione delle elite’” in cui le masse fanno da supporto a questa o quella minoranza organizzata senza mai dare l’impressione di prendere in mano i propri destini. La ragione e’ semplice: una minoranza organizzata e’ sempre piu forte di una massa di individui isolati. “Sovrano e’ chi decide nello stato di eccezione” scrive Schmitt. E’ facile constatare, ahime’, che nello stato di eccezione mai il popolo si e’ innalzato alle vette del sovrano. Lo hanno fatto solo minoranze che si sono appoggiate al popolo. Ci sono state elite’ piu’ o meno popolari (elite’ di santi o elite di briganti come le chiama Pareto) ma mai popoli-elite’, mai popoli che hanno dimostrato di sapersi autogovernare. Due eventi storici sembrano smentirmi: la Comune di Parigi e la comune di Barcellona del 1936. Entrambi pero’ durati pochi mesi e affogati in un bagno di sangue.

9) Sulla questione dello Stato e della conquista del potere politico Marx oscillo’ da un iniziale blanquismo-babuvismo cospirazionista (la dizione dittatura del proletariato e’ presa in prestito da Babeuf e Blanqui fino al 1871 era considerato l’anima e il cuore del comunismo francese) ad un piu’ tardo positivismo evoluzionistico. Egli paventa persino l’ipotesi, nei paesi piu’ avanzati, di una graduale conquista pacifica del potere politico per via parlamentare, senza il ricorso alla violenza armata. Engels con la introduzione del 1895 alle “lotte di classe in Francia” si spingera’ oltre e ne fara’ addirittura un vessillo: gli operai faranno il socialismo a colpi di maggioranze parlamentari. Poi ci lamentiamo dei Bernstein e dei Kautsky figli di questo strappo?

Ma torniamo a noi. Qui si mostra di nuovo una visione riduzionista dello Stato Borghese e delle potenzialita’ egemoniche della classe dominante. Lo stato era dipinto come un comitato di affari cresciuto dentro e ai margini del governo politico. Una sorta di guardiano notturno degli interessi dei padroni. Eliminato il guardiano, con la conquista del potere per via parlamentare o insurrezionale, il proletariato in quanto maggioranza e pilastro della produzione, (puo’ esistere il lavoro senza capitale ma non il capitale senza lavoro) avrebbe avuto strada facile per schiacciare la minoranza di oppressori invisi al popolo e instaurare il socialismo. Ma lo Stato borghese non e’ solo il governo politico e i suoi apparati repressivi. Non si riduce ai tre poteri. Ce n’e’ un quarto, un quinto etc etc. I tre poteri sono consolidati e fortificati dalle sue strutture egemoniche (scuola, mass-media, Chiesa, oggi televisione, internet, societa’ dello spettacolo, tecnologia, Nato, industria dell’intrattenimento e dello sport, grandi banche, coalizioni banditesche internazionali FMI, Banca mondiale, Trilaterale Bieldelberg etc) che sono altrettanti baluardi o cerchi concentrici che fanno dello Stato un “Capitalista collettivo” globale, ramificato e pervasivo. La novita’ radicale introdotta negli ultimi decenni complica ancora di piu’ il quadro. Si vanno infatti configurando governi politici nazionali succursali di superpoteri piu’ o meno segreti, piu’ o meno incappucciati, che hanno sede fuori dalle frontiere degli stati-nazione. Recidere i fili di questa sudditanza e de-connettersi espone i popoli e le nazioni ad una opera storica titanica, di una complessita’ e durezza enormemente superiori al passato in cui dominava un sovrano assoluto, che aveva un nome, un cognome, un domicilio con via e numero civico. Insomma la rivoluzione francese era una bazzecola al confronto dei compiti che attendono una rivoluzione in Italia e in Occidente!

10) Se le classi subalterne vogliono emanciparsi non e’ sufficente che si costituiscano in “classe per se” attraverso un partito (come? Studiando i testi sacri?) per dare l’assalto finale al cuore dello Stato; occorre che sappiano costruire elementi della nuova societa’ all’interno di quella vecchia, come ha fatto la borghesia nel feudalesimo, e il feudalesimo nel sistema schiavistico. Occorre che sappiano costruire un contro-potere, una contro-economia, un contro-stato, una contro-etica e una contro-cultura prima della rivoluzione! Che abbandonino lo spirito di delega in favore della partecipazione e del protagonismo attivi nella vita economica. Che sappiano radicare embrioni del socialismo nel capitalismo. Per dirla con Marx e’ necessario che l’economia politica del proletariato dia esempio di scardinare l’economia politica del capitale. Occorrono riforme strutturali come la riduzione dell’orario di lavoro, aumenti salariali, potenti sindacati, cooperative, imprese autogestite, reti auto-organizzate per la difesa dei beni comuni, la riappropriazione della sovranita’ nazionale e monetaria! Ma soprattutto e’ necessario che acquisiscano comportamenti, abitudini, stili di vita e di consumo alternativi e quelli dominanti. I comunisti potranno essere ostetrici che attenuano le doglie del parto solo se questi embrioni di comunismo si fanno storia attiva, movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente! Ogni rivoluzione del passato e’ stata uno squarcio della sovrastruttura che ha permesso a nuovi rapporti sociali consolidatisi nel vecchio ordine di fuoriuscire ed ergersi a rapporti dominanti. Da una insurrezione di affamati e disperati, puo’ emergere un “socialismo da caserma” retto da un sovrano assoluto, non l’autogoverno consapevole dei produttori.

Facile a dirsi ma duro a farsi, talmente duro da far tremare le menti e i polsi. . Cionondimeno questa e’ la porta stretta della storia che occorre superare, oppure apres moi le deluge diceva Luigi XV. Il socialismo non potra’ essere opera di una minoranza attiva che accompagna il gregge verso il sol dell’avvenire. Il socialismo o e’ opera del general intellect, della massa attiva che prende in mano i propri destini o non sara’! La minoranza attiva che accompagna il gregge puo’ solo ricostituire la vecchia caserma del socialismo reale. Nessuno nega la funzione storica delle minoranze attive ma esse dovranno essere deposte dallo scranno di demiurghi del reale, per essere indotte al servizio del bene comune e della giustizia sociale, elette e revocabili dal popolo.

11) Facile la conquista di uno stato borghese ridotto a comitato di affari, facile preannunciare la transizione verso l’estinzione dello Stato. Qui la teoria marxista langue, latita piu’ che altrove. Ma lo Stato non e’ solo apparato coercitivo al servizio della classe dominante. Lo Stato e’ piu’ complesso: e’ anche cervello di un corpo collettivo, garante della sua sicurezza e stabilita’. E’ sede di programmazione e di controllo della riproduzione dei rapporti sociali. Inoltre Stato e’ potere e dove ci sono collettivita’ e decisioni da prendere democraticamente, con maggiranze e minoranze, ci sara’ sempre un potere che le fara’ rispettare!

Le funzioni dello Stato rimarranno inevitabilmente anche in una societa’ senza classi iper tecnologica e iper complessa. Se esiste una societa’, esistono delle leggi, esiste un diritto. Dove ci sono diritti ci sono anche doveri. E dove ci sono diritti e doveri ci sono codici civili e codici penali, quindi tribunali e strutture repressive (spero non piu’ le carceri, basterebbero i lavori socialmente utili) . In nessun ambito del pensiero di Marx si evidenzia piu’ che in questo il suo utopismo di derivazione fourieriana. In fondo si puo’ leggere nel suo pensiero una visione innocente e iper-ottimistica dell’uomo, di sapore Roussoueiano; un ente generico ed universale portatore di bene, una specie di animale santo che una volta sciolto dalle catene della proprieta’ privata puo’ essere solo vettore di bonta’, disinteresse, altruismo e solidarieta’. Nella societa’ senza classi, secondo Marx, lo Stato si trasformera’ in amministrazione delle cose (sic! non degli uomini delle cose) e gli uomini saranno finalmente capaci di autogovernarsi senza piu’ la mediazione di sovrastrutture e istituzioni, senza piu’ il diritto. Domanda: cosa accadra’ a chi decidera’ di uccidere la propria moglie per gelosia? O a chi impazzisce? O a chi non vuol fare i lavori piu’ degradanti e in generale rispettare le regole che si e’ data la societa’? O si pensa che siamo tutti buoni, uguali e virtuosi, e una volta creato l’ uomo nuovo come modello tutti gli altri seguiranno a ruota il suo esempio?

12 “Da ciascuno secondo le sue capacita’ a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Questo il motto del comunismo ripreso dagli utopisti francesi. Chissa’ come mai quando si tratta di descrivere il comunismo Marx e’ pieno di remore, ma non si fa scrupolo a prendere in prestito concetti elaborati dai suoi esecrati utopisti, pervasi di ottimismo illumistico e razionalistico. Bene… secondo questo motto nella societa’ senza classi e senza Stato coercitivo ognuno fara’ cio’ che piu’ gli aggrada, cio’ di cui e’ capace e non ricevera’ in base al suo lavoro (come nella fase di transizione) ma in base ai suoi bisogni. E’ l’adagio del liberalismo classico! Con la riserva che oggi solo le classi borghesi possono permetterselo. Infatti chi e’ che fa cio’ che vuole e riceve secondo i bisogni? Il borghese che vive di rendita. Marx immagina un futuro in cui siamo tutti svincolati dalla necessita’ di lavorare piu’ di due o tre ore al giorno, la ricchezza scorre a gogo nel paese di Bengodi e le risorse naturali sono illimitate. Troppo ottimismo, troppa Hybris che oggi fa a pugni con un pianeta allo stremo, con risorse limitate ed esaurite, con Gaia prossima al collasso. Allora dovremo riscrivere sulla bandiera “da ciascuno secondo le sue capacita’ a ciascuno secondo le necessita’ razionali democraticamente stabilite”, nel rispetto della natura, degli animali, dei bisogni autentici, del bien vivir, del bene comune, di una frugale abbondanza collettiva. E’ vero, i bisogni culturali potranno essere coltivati e soddisfatti all’infinito! Ma solo se quelli materiali vengono limitati, razionalizzati spogliati dal manto di feticcio che la societa’ capitalista gli ha imposto.

Prima di passare al punto 13 sulla critica dell’ideologia in Marx voglio sottoporvi la fiaba del “Re Nudo” di Andersen perché ha una forza evocativa ed esplicativa meravigliosa che calza a pennello con il nostro ragionamento, non perché Marx sia il re nudo, ma re nudo sono a volte le nostre finte certezze o le nostre idee che spesso pretendono di disvelare un essere diverso da quello che siamo:

«La fiaba parla di un imperatore vanitoso, completamente dedito alla cura del suo aspetto esteriore, e in particolare del suo abbigliamento. Un giorno due imbroglioni giunti in città spargono la voce di essere tessitori e di avere a disposizione un nuovo e formidabile tessuto, sottile, leggero e meraviglioso, con la peculiarità di risultare invisibile agli stolti e agli indegni. I cortigiani inviati dal re non riescono a vederlo; ma per non essere giudicati male, riferiscono all’imperatore lodando la magnificenza del tessuto. L’imperatore, convinto, si fa preparare dagli imbroglioni un abito. Quando questo gli viene consegnato, però, l’imperatore si rende conto di non essere neppure lui in grado di vedere alcunché; attribuendo la non visione del tessuto a una sua indegnità che egli certo conosce, e come i suoi cortigiani prima di lui, anch’egli decide di fingere e di mostrarsi estasiato per il lavoro dei tessitori. Col nuovo vestito il re sfila per le vie della città nell’acquiescenza generale, di fronte a una folla di cittadini i quali applaudono e lodano a gran voce l’eleganza del sovrano, pur non vedendo alcunché nemmeno essi e sentendosi essi segretamente colpevoli di inconfessate indegnità. L’incantesimo è spezzato da un bimbo che, sgranando gli occhi, grida con innocenza “Ma il re non ha niente addosso!” (o, secondo una variante, “Il re è nudo!”). Ciononostante, il sovrano continua imperterrito a sfilare come se nulla fosse successo».

Ebbene vorrei considerarmi come quel bambino della fiaba che guarda con occhi innocenti alla verità e alle complicate trame della storia umana. Ma purtroppo anche io possiedo solo un punto di vista parziale e non neutrale, non ho in tasca la verità assoluta e mi muovo con difficoltà, come un saltimbanco tra idealismo, ideologia e materialismo!

* * *

13) Marx, il più grande de-costruttore di ideologie della modernità, è a sua volta vittima di ideologia, della propria “ideologia”? Sembrerebbe di sì, proprio per i primi 12 punti da me elencati. Per Marx il tratto proprio di ogni ideologia è “la falsa coscienza”, è il tentativo della classe dominante di far passare per universale il suo punto di vista e interesse parziale (vedi imperativi categorici a priori della morale borghese, che dipingono come bene universale tutto ciò che e’ bene per i suoi interessi). E’ la naturalizzazione e ipostatizzazione di rapporti sociali e categorie economiche (come la merce e il denaro) che sono storicamente determinati ed in quanto tali transuenti!


Fin qui onore al merito al Genio di Treviri! Ma pensare che la storia è il movimento reale che partorisce il comunismo, o che il proletariato contiene in se la missione storica di abolire il capitalismo, o altresì che la rivoluzione socialista si realizzerà nei paesi a più alto sviluppo delle forze produttive, o che il capitalismo è necessariamente l’ultimo stadio della società classista oltre il quale ci può essere solo una società senza classi, o che “solo nel comunismo si riconcilia l’essenza dell’uomo con la sua esistenza”, non è a sua volta tutto questo “ideologia”? Non è nuova ipostasi? Non è far passare un punto di vista soggettivo e parziale per necessità universale? Chi può dimostrare che l’essenza umana sia necessariamente comunista (quindi anti-gerarchica e a-classista) piuttosto che semplicemente sociale e comunitaria, ma incubatrice di nuove gerarchie sociali (come la comunità delle formiche o delle Api)? Chi può dire l’ultima parola sul fatto che la specie homo sapiens sia un “ente generico universale” intrinsecamente capace di creare il paradiso in terra e il bene assoluto, piuttosto che l’inferno prodromico alla sua estinzione di massa? O che, per una strana eterogenesi dei fini, non si realizzi né l’uno né l’altro ma una cyber-society in cui il soggetto, metà uomo e metà macchinico, sconfini definitivamente in una società distopica di Matrix-memoria? Entriamo in interrogativi che fanno tremare le coscienze e i paradigmi filosofici consolidatisi in due millenni da Platone ad oggi.

Noi minoranza attiva, nell’attraversare il mare tempestoso della storia dobbiamo fare il nostro compito, batterci per la libertà e la giustizia sociale, anche se questo si rivelerà un sogno utopico. Anche se non c’e’ alcuna garanzia assoluta, scientificamente accertabile con le lenti del materialismo storico, che arriveremo all’approdo vincenti, che agiremo con il vento in poppa, che le forze della storia ci spingano necessariamente in questa direzione piuttosto che verso il naufragio.

Osservando la fine tragica dei Socrate, dei Giovanni Battista, dei Gesù Cristo, dei Giordano Bruno, dei Simon Bolivar, dei Trotsky, dei Che Guevara, dei comunardi, dei boscevichi, degli anarchici spagnoli, qualche dubbio sorge; sembra proprio che la speranza sia ridotta al lumicino! Tuttavia lottiamo, Spes contra spem, come lotta un malato terminale per la propria sopravvivenza, o un naufrago che vede lontano il proprio approdo!

Marx aveva invece una certezza apodittica: le forze della storia spingono nella direzione dell’emancipazione e l’essenza dell’uomo è nella ricerca della libertà e dell’uguaglianza. Se ciò non fosse vero si ricadrebbe nell’utopismo e quindi nella fallacia idealista di giustapporre i pii desideri filantropici al movimento reale della storia. Ma esagerando alcune contraddizioni materiali del capitalismo, distorcendo la capacità delle forze sociali, feticizzando la facoltà provvidenziale delle forze produttive di scardinare i rapporti ha finito ahimé per rendere meno scientifico e più utopico il suo socialismo.

14) La certezza apodittica di Marx sull’avvento del comunismo deriva proprio dal suo idealismo hegeliano, che pretendeva di aver superato, ma in realtà operava segretamente negli interstizi della sua filosofia della storia. Per quanto si sia sforzato di rendere scientifica la sua concezione della storia e della società — e nessuno più di lui ci è riuscito — rimane il fatto che il suo materialismo è contaminato fortemente di filosofia della storia, di storicismo. Una filosofia che trae linfa vitale proprio dall’idealismo classico tedesco.

Hegel credeva in uno spirito nascosto che è all’opera nell’universo e nella storia e che anima il suo divenire verso la perfettibilità. Pur tra incidenti e ricadute esiste una “astuzia della ragione” che collabora nella marcia trionfante e universale del progresso! Marx pretendeva di aver messo la dialettica di Hegel a testa in su ma ha solo sostituito la materia allo spirito, attribuendo ad essa ciò che è l’essenza stessa dello spirito: l’aspirazione perenne al meglio e alla perfezione! Più che Darwin sembra all’opera Lamarck, anche egli permeato come Hegel del clima culturale illuministico e che vedeva il progresso all’opera persino nella natura, attraverso la legge dell’adattamento. Celebre e proverbiale il suo assunto (poi smentito da Darwin) che la giraffa ha il collo lungo per adattare il suo corpo a piante altissime!! Ebbene Marx prima sostituisce la materia allo spirito e poi le forze produttive alla materia attribuendo ad esse la virtù segreta e magica di superare tutti gli ostacoli frapposti dai rapporti di produzione, e farsi strada verso uno sviluppo illimitato. Ma questo moto incessante è un postulato a-priori, un assioma che non ha nulla di scientifico e deve a sua volta essere dimostrato.

Sembra di essere difronte ad una nuova religione che ha per meta il comunismo e come forza provvidenziale le forze produttive. Marx rischia cosi di ricadere nel feticismo che demistificava nella merce! Precisamente nel feticismo delle forze produttive che egli santifica al pari dei capitalisti anche se da punti di vista opposti. Uguale l’inversione di soggetto e oggetto (non sono più gli uomini in carne ed ossa, poveri mortali, ma le forze che si servono degli uomini o lo spirito che lui attribuisce agli uomini a fare la storia) e cosi anche in questo caso, come nell’ideologia capitalista, i rapporti tra le persone prendono le sembianze di rapporti tra cose, o di proiezioni soggettive di questi rapporti.

Questa religione delle forze produttive, che io chiamo tecno-scientismo, in nome della quale il capitale ha oppresso e schiacciato intere generazioni ha spinto lo stesso Lenin ad esaltare il taylorismo come fosse una tecnologia neutra, piegabile sia agli interessi del capitale che del lavoro. Oggi non sfugga, che l’officiante principale di questa nuova religione è Tony Negri ma questo sarà tema di un prossimo punto sul “General Intellect”.

Chiudo questa riflessione con due corollari ed alcuni alcuni interrogativi che mi auguro servano a scuotere le coscienze di chi legge:

1) primo corollario: i rapporti di produzione non hanno solo sconfitto le forze produttive come ho scritto al punto uno. Le forze deviate e sconfitte dal Capitale hanno cambiato i rapporti tra gli uomini

2) secondo corollario: la tecnica che prima era uno strumento che mediava i rapporti tra gli uomini diventa il totem esclusivo e significante con cui l’uomo entra in rapporto.

Gli interrogativi:

lo sviluppo delle forze produttive non si è rovesciato nel suo opposto (un de-sviluppo) prima di aver scardinato i rapporti capitalistici di produzione?
Non ha cambiato l’antropologia umana creando soggettività iper-specializzate, individualiste, solipsiste, iper-cretine ed inservibili per un salto quantico verso una società di giusti ed eguali?
La tecnica non è diventata disvelamento definitivo di una umanià’ dedita oramai alla religione cinica del calcolo, che vede in madre natura solo una materia prima da estrarre e da depredare (ma anche una pattumiera) e negli altri uomini dei sgabelli su cui salire per mero calcolo di interesse ?
E l’uomo non è stato cosi sopravanzato dalla tecnica stessa (come temeva Gunther Anders) da diventare antiquato?
E la sua posizione di soggetto non è stata presa dalla tecnica dalla quale dipende oramai l’essere e il non essere dell’umanità, il senso che diamo alle nostre vite?

Io non ho la risposta.

Ma se le risposte a queste domande sono affermative allora bisogna prendere atto di essere entrati in una nuova era post-umana, in piena epoca distopica dove il solo parlare di filosofia, di emancipazione e di comunismo rischia di farci passare non per marxisti ma per marziani.

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