lunedì 22 giugno 2020




MEZZI E FINI





Il mio saggio su Trotsky, Stalin e Marco Rizzo, pubblicato anche sul blog Sollevazione,  ha suscitato, nei numerosi commenti, una interessante discussione che entra nel merito delle relazioni tra etica e politica, mezzi e fini. Riporto qui il botta e risposta tra me e Francesco su una questione che anima il dibattito politico almeno da Macchiavelli in poi.


Caro Francesco
Passi il fatto che non mi hai svelato la tua identita’. Nessun problema

Ti confesso che ho dovuto leggere il tuo commento almeno due o tre volte per capirlo ed interpretarlo. Certo se la tua aspirazione massima e’ l’esercizio e/o conquista della sovranita’ popolare, non e’ questo stile di scrittura un buon viadico.
Cerchiamo di scrivere in modo piu’ semplice per farci meglio capire da tutti.
Io sono stato trotskysta e quindi leninista dai 17 anni ai 35 anni. Ora ne ho 55 e negli ultimi 20 anni ho maturato un pensiero politico diverso, che ha comunque mantenuto come telos o barra di riferimento l’emancipazione degli ultimi e il raggiungimento di una societa’ senza classi, di liberi ed eguali.
Il leninismo e’ la rivoluzione proletaria in un paese arretrato a maggioranza contadina ed analfabeta. Esso non puo’ essere universalizzato come prassi e strategia neanche nel terzo mondo, tant’e’ che la rivoluzione cubana, cinese e vietnamita si sono imposte come guerre contadine di accerchiamento, e non come insurrezioni giacobine, o assalti al Palazzo di Inverno.
Lo stalinismo e’ a tutti gli effetti una degenerazione del leninismo. Stalin sta a Lenin come Napoleone sta ai giacobini, come il direttorio sta al comitato di salute pubblica. Di cio’ ne da testimonianza Trotsky e ne ha avvertito anticipatamente il sentore lo stesso Lenin nel Testamento.
Premesso cio’ vengo al dunque. Per me il fine non giustifica automaticamente i mezzi, qualsiasi essi siano. Il fine e i mezzi devono trovare una giusta coniugazione. Il fine deve vivere nei mezzi e viceversa. Facciamo un esempio estremo: se mi batto per una societa’ senza tortura non posso applicare la tortura verso i nemici, neanche se questa serva per salvare vite dei miei fratelli. La guerriglia Cubana per esempio non ha mai usato la tortura nei confronti dei prigionieri politici, semmai scuola di rieducazione.
Come rivoluzionari bisogna porre dei limiti invalicabili all’uso della forza, (apro parentesi la chiamo volutamente uso della forza, invece che violenza; la violenza e’ una arma degli oppressori, la forza degli oppressi) oltre i quali si diventa non distinguibili dall’oppressore di turno, sia esso Hitler o Pino Chet. Non penso sia umanamente concepibile per esempio il campo di sterminio hitleriano per la borghesia, o la Dekulakizzazione staliniana, o l’uso della carestia per eliminare un popolo (come ha fatto Stalin nel 1932 in Ucraina) anche se esso possa garantire il successo di una rivoluzione. O gettare i nemici dagli aerei come hanno fatto i dittatori argentini nel 1975-78. Per me uccidere i figli dei Romanov e’ stato un atto di barbarie gratuita. Ma come ben sai durante le guerre civili non si guarda per il sottile e gli eccessi sono all’ordine del giorno, sia da una parte che dall’altra. I crimini di Stalin sono esponenzialmente piu’ gravi rispetto alla violenza esercitata dai bolscevichi nel 1917-21 in quanto sono stati commessi in periodo di pace e contro la stessa vecchia guardia bolscevica, con modalita’ extra-giuridiche che fanno invidia ad una monarchia assoluta e dispotica. Chi non condanna questi crimini anzi li difende, appartiene alla categoria dei Vichinsky e dei Mercader, cioe’ uomini spietati e senza principi.
Trotsky ebbe a scrivere che essendo capo dell’Armata Rossa, avrebbe potuto far arrestare Stalin nel giro di poche ore, e insieme a lui tutti i suoi seguaci. Si rifiuto’ di farlo perche’ non voleva diventare lui il nuovo Bonaparte. Se si e’ disposti a conservare il potere costi quel che costi, persino diventare dei Bonaparte e snaturare la propria identita’, cio’ significa ribaltare il principio “il fine giustifica i mezzi” nel suo esatto contrario “i mezzi giustificano il fine”, ove il fine diventa la conservazione del potere a qualsiasi costo. C’e’ un limite etico-politico oltre il quale si passa da essere rivoluzionari a essere contro-rivoluzionari.
Il partito di Lenin, persino durante la guerra civile, funzionava sulla base del centralismo democratico. I congressi eleggevano il CC, il CC eleggeva il Politburo’. Le decisioni si prendevano a maggioranza e la minoranza le rispettava. Piu’ volte Lenin e Trotsky furono in minoranza senza per questo fare sfracelli. Nel Partito di Stalin, al contrario, vigeva il centralismo assoluto in tempo di pace. Contava solo l’ordine del capo supremo. Il dissenso e le minoranze venivano liquidate fisicamente. C’e’ una differenza sostanziale, oserei dire ontologica sul piano della prassi e del principio etico-politico, tra leninismo e stalinismo. Chi non vede questo e’ un ottuso irrimediabile!

Mauro Pasquinelli








Caro Mauro 

Non ho letto Trotsky, ho letto di lui, ho commentato per proporre la chiave interpretativa della violenza implicita nella logica/dinamica Amico/Nemico. Inferenza dopo inferenza (tue) mi ritrovo a scrivere diffusamente, ma di tempo non manca, l’amico di Napolitano (son) che ci comanda ha provveduto a distruggere il mio lavoro stagionale e ad oggi non sganciare nemmeno i soldi per una piccozza.

Ok, per te non c’è assonanza tra sovranismo e “comunismo in un solo paese”, e, implicitamente, forse nemmeno nessuna assonanza tra l’internazionalismo rivoluzionario e il mercato unico globalista.

Per me, invece, ogni idea o visione del mondo, che si traduca in esportazione di beni materiali (frutta esotica, coca cola, prodotti tossici finanziari) o immateriali/spirituali (democrazia, cristianesimo, comunismo o liberismo), ha in comune la necessità politica di dover affrontare il limite costituzionale e fondativo del potere, quello che disciplina il rapporto tra il sovrano e il suo popolo: non so se Stalin fosse sovranista, cioè fosse rispettoso del patto sociale stipulato dal popolo dopo il 17, e quindi legittimato nel suo agire politico, ma appare ovvio che un rivoluzionario internazionalista non ha in nessun conto la sovranità di un Paese diverso dal proprio che non sia fondata su un patto sociale copiato dalla bibbia marxista.

La questione della sovranità/potere di un paese diverso da quello da cui proviene il rivoluzionario in trasferta resterebbe centrale anche qualora la volontà del sovrano e del popolo divergessero, come oggi nel nostro paese.
Esso resta un problema interno che nessuna forzatura esterna a base di rubli, dollari o piccozze potrebbe contribuire a risolvere, se non a costo di una ulteriore riduzione di sovranità.

L’uso del potere non legittimato secondo Costituzione e Legge, cioè non disciplinato dalla dinamica tra il sovrano e il suo popolo, è un abuso, un atto di guerra o un crimine.
Il rivoluzionario in trasferta, dunque, non è ontologicamente diverso da un’agente della Cia o del Kgb, Per me Mercader non ha abusato del potere, non avendo alcuna autorità, e non ha agito da militare, non essendo stata dichiarata nessuna guerra al Messico, e non essendo il Capitale un’entità fatta di popolo e territorio, resta il crimine, l’unica opzione per gli infiltrati reazionari e per i rivoluzionari, anche trotschisti, che ritengano impossibile/sbagliato provare a convincere un nemico.
Attenzione, non sto esprimendo un giudizio morale sugli spiriti animati e legittimati solo dalle migliori intenzioni, costretti a gesti criminali quando si ritrovano in mezzo a un conflitto tra un sovrano e un popolo a cui non appartengono, dico che nel caso di Guevara, per esempio, c’era così tanto da fare a Cuba dopo la rivoluzione (o in Argentina) che 5 anni sembrano pochi per partire per un revolution tour (Panama, Santo Domingo, Congo, Bolivia); forse deve aver pesato la divergenza con Castro, non filo cinese come lui.

Anche da noi, oggi, il problema più grosso non sarebbe la Sollevazione, che come in Russia nessuno può prevedere, ma la mancanza di una classe dirigente, espressione popolare omogenea, che gestisca il dopo.
Quello sì che è prevedibile: un popolo inferocito, senza testa o con molte teste confuse, non va molto più lontano di una catarsi di poche ore come nel 64 a Zanzibar o nei 100 gg in Rwanda.
Ma nel caso prevalesse la componente comunista della Sollevazione, dopo quanto tempo un trotschista riterrebbe strategicamente più opportuno andare a fare il rivoluzionario in Germania (o in UK) piuttosto che fare i conti con la fazione arancione dei pappalardisti?

A me sembra che la base sovranista decapitata tra cadreghe e dissimulazioni aveva le potenzialità per aggregare ulteriormente e in modo armonioso più istanze, ma ho fiducia che, dopo aver riconosciuto l’impossibilità di trovare un terreno comune alternativo, in grado di tenere insieme il movimento di protesta (con mille proposte, spesso confliggenti) che sembra prendere vita nel paese, si ripartirà da là.

Se Stalin è quello che tu descrivi e avesse dato le spalle a un Trosky sprovvisto di pistola, perché in quel caso una piccozza non sarebbe andata bene? Se la politica usa le categorie della guerra (amico/nemico) perché sarebbe sbagliato difenderci usando gli stessi mezzi di chi ci minaccia? Quale minaccia rappresentavano per la rivoluzione donne e bambini Romanov? Sbaglio nel ritenere la Politica un confronto interno alla visione democratica? Perché non potrei convincere (invece di vincere/ammazzare) un connazionale circa una più saggia allocazione delle risorse, o essere io quello convinto dal suo liberalismo? Ecco, sostituirei le categorie schmittiane (A/N) con politico/antipolitico o democratico/antidemocratico.

Quello che descrivi non è l’accerchiamento della rivoluzione ma di singoli rivoluzionari, effetto quanto meno di un calcolo sbagliato sui rapporti di forza, tipo dichiarere guerra alle nazioni accerchianti, cazzata che Stalin non ha fatto.
Non sarà che la rivoluzione di Ottobre, accaduta nonostante la teoria marxiana, potrebbe aver creato una bolla collettiva di esaltazione/entusiasmo che ha viziato le capacità di analisi dei capipopolo? Quanta coscienza politica rivoluzionaria era presente all’indomani della rivoluzione? Un popolo che appende il tiranno per i piedi è sempre comunista?
Trotsky, fantasticando, come avrebbe trattato i liberali, i socialdemocratici, i keynesiani, i credenti (di ogni confessione, inclusi satanisti e hubbardiani), i ricchioni o gli anarchici?

Ma poi, se Togliatti e Rizzo sono staliniani non è anche questo un aspetto dell’internazionalismo?
Credo che se il modello sovietico avesse funzionato quell’internazionalismo “indotto” avrebbe avuto addirittura più fortuna di un internazionalismo con le pezze al culo, agito e non dichiarato, in sfregio della sovranità altrui.

Secondo me è già troppo complesso tradurre una visione politica/ideale (non necessariamente comunista) nel governo di un solo paese, in cui a volte, quando va bene, si condivida lingua, cultura, religione, storia etc., che i propositi internazionalistici di bypassare il tema della legittimazione del proprio e dell’altrui agire politico non possono che apparire puerili.

Rivoluzionario, rivoluziona te stesso e fatti la sovranità tua!



Caro Mauro

non ho nessun problema a ritenere plausibile che a Stalin il potere abbia dato alla testa, mi sembra un fenomeno molto comune, che non ha riguardato solo i rivoluzionari della prima ora, e l’Urss non è stata solo Stalin come la Cina non è solo Mao.

Secondo me, umanamente, Razzi, Conte, Clinton, Bush, Obama, Hitler, Mussolini, Polpot, Castro, Kim Jong-un, Geddafi, Erdogan, Putin… quando si trovano a coprire posizioni di potere, hanno lo stesso problema che avremmo tutti noi nel provare l’ebbrezza di controllare persone, cose ed eventi (sentirsi Dio), a prescindere dalla nostra visione politica.

Dopo i molti voltafaccia polici da parte di chi ha raggiunto o desidera raggiungere posizioni di potere a me sembra sempre più evidente che la cultura politica, una visione alta della convivenza civile, è destinata a non concretizzarsi in assenza di sensibilità umana e metacognitiva.

Secondo me aristocratici o leaders liberali illuminati sarebbero preferibili a rivoluzionari torturatori, fini teorici marxisti, con poco o nessun radicamento esistenziale, farebbero di sicuro meno danni i primi.

Il problema è che a volte le rivoluzioni sono improvvise, catapultando in posizione apicale un gruppo ristretto di persone, che prevalgono su altri nel dibattito teorico ma di cui la maggioranza in rivolta ignora le attitudini umane/relazionali, l’abuso di potere è un efficiente e rapido strumento per ovviare a eventuali carenze in quell’ambito, di cui la mancanza di autoironia, il prendersi troppo sul serio, è un chiaro sintomo.

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